Santa Maria della Febbre ovvero la Madonna del Pianto

Sul fianco del rione Colle, al centro del borgo antico, parzialmente inglobata in una più ampia struttura, si annida la piccola chiesa della Madonna della Febbre risalente al XIII secolo.
Non è chiaro se in realtà la piccola chiesa in questione fosse la cripta, o addirittura la confessione, di una chiesa più grande oggi scomparsa. Secondo alcuni studiosi invece è più logico supporre che si trattasse di un oratorio amministrato da una confraternita, con accesso su due livelli, come dimostrerebbero i due portali in pietra, quello inferiore intitolato alla Madonna della Febbre e quello superiore alla Madonna del Pianto. Entrambi in ogni caso dedicati alla Vergine come protettrice dalle malattie e dalla temutissima peste.
La tecnica muraria dell’edificio, le sue forme essenziali, la semplicità dei capitelli portano a datare l’edificio alla metà del secolo XIII, mentre la decorazione ad affresco della cappella superstite sembra iniziata verso la fine del Trecento, poi ripresa ed ultimata in pieno Quattrocento. All’esterno, permane soltanto l’affresco rappresentante San Girolamo nella lunetta del portale superiore mentre è andato perduto quello che decorava il portale inferiore.

Internamente la chiesa è costituita da un’unica aula a pianta rettangolare su cui si innesta l’abside semicircolare. Al centro sono quattro colonne dai capitelli rozzamente scolpiti a triangoli da cui si dipartono archi a tutto sesto che nelle pareti si impostano su pilastri, suddividendo la volta in sei volticine a crociera. L’abside è coperta da una volta centrale e due parziali ai lati. Al centro dell’abside si trova l’altare, sostenuto da quattro colonnine. Sulla mensa trova posto un piccolo tabernacolo contenente una rozza statuetta in stucco dipinto della Pietà.
Tra il XVI e il XV secolo la chiesa fu interamente ricoperta di affreschi, la maggior parte assai deteriorati o ricoperti di calce. Tra quelli ancora fruibili sono sulla parete di sinistra Il Salvator Mundi nel tipico schema quattrocentesco, cui segue nello stesso stile la Pietà rappresentata al centro di un’edicola colonnata con angeli sui lati. Seguono, sul punto di attacco dell’abside i tre pannelli riquadrati da cornici a intreccio attribuiti al Maestro di Farfa, attivo nell’area del Carseolano all’inizio del 1500: Sant’Agata, San Cristoforo e (probabilmente) San Floriano. Agata è raffigurata con la palma del martirio ed il seno squarciato da un taglio di spada. Il suo culto, risalente al III-IV secolo, la vede patrona delle gestanti, delle puerpere e delle balie ed era vivo soprattutto in ambiente rurale. Cristoforo ha le gambe immerse nell’acqua del fiume che attraversa, le onde raffigurate da bianche e sottili linee dipinte tra le quali nuotano pesci di svariate specie; porta il bambino sulla spalla destra mentre nella sinistra tiene la palma del martirio. Ignoto il terzo santo. La spada nella mano sinistra ha fatto pensare a San Floriano un soldato romano di stanza nel Norico, che in quanto cristiano, subì il martirio sotto l’impero di Diocleziano (284-305).

Sul lato opposto una Madonna col Bambino mancante di tutta la metà inferiore e a seguire il pannello di Sant’Antonio da Padova con in mano un giglio che appena si intravvede dato lo stato fatiscente della pittura. Interessante e commovente invece l’iscrizione dedicatoria del committente ai piedi del santo, così ricostruita:
QUESTA – FIGURA DE – S – ANTONI DE PADUA A FACTA / [PENGE]RE P(ER) A(N)IMA DE MASTRO MACTEO PER VOTO / DELLO SUO FRATELLO IANNIANTREA – 1500. 
Nelle strombature delle monofore dell’abside infine sono affrescati angeli inginocchiati che sostengono dei ceri accesi.
A sinistra dell’altare si trova la statua lignea di San Rocco, mancante del braccio sinistro e della mano destra. Di fattura quattrocentesca, essa rappresenta il santo pellegrino e taumaturgo francese, invocato dal Medioevo in poi come protettore dal terribile flagello della peste. In piedi, con il mantello, il copricapo e la scarsella del pellegrino, con una mano, quella mancante, doveva regge il bastone, mentre con l’altra alza la tunica stretta in vita indicando i segni della peste presenti sulla gamba.

La storia di San Cristoforo – il cui nome in greco significa letteralmente “colui che porta il Cristo” – era conosciuta nel Medioevo nella versione narrata da Jacopo da Varagine nella Leggenda Aurea.
Il futuro santo era un gigante cananeo di nome Offesus che faceva il traghettatore lungo un fiume; aveva un pessimo carattere e viveva da solo in un bosco. Una notte gli comparve davanti un fanciullo che chiese di passare il fiume: il gigante se lo caricò in spalla e cominciò l’attraversata. Ma a ogni passo il bambino diventava sempre più pesante mentre la corrente del fiume diventata più impetuosa. Alla fine, stanchissimo, raggiunse l’altra sponda e depose il suo fardello: il bambino rivelò quindi di essere Gesù Cristo, e che egli aveva portato in spalla non solo lui, ma l’intero peso del mondo. Offesus si fece dunque battezzare, cambiando il proprio nome in Cristoforo. Si recò quindi in Licia dove subì il martirio.
Per saperne di più sulla leggenda di San Cristoforo clicca qui.

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